Viviamo in una società in perenne confusione tanto che si avvera sempre più “la teoria dello shock economico” con la sua drammaticità e la sua semplicità: “bisogna creare nella popolazione un senso continuo d’insicurezza e di stress psicologico, tale che diventi accettabile qualsiasi decisione politica ed economica”. Shock and awe, ovvero shock e sgomento, sono azioni che generano paure e tensioni nella popolazione che si sente costantemente sotto minaccia, per motivi incomprensibili e al di fuori di ogni controllo (cfr. N. Klein, Shock economy. L’ascesa del capitalismo dei disastri, Rizzoli, 2008).
Tutto questo è dovuto agli effetti delle teorie neoliberiste di Milton Friedman e della sua Scuola di Chicago, politiche economiche effettuate senza il consenso popolare, in tutto il mondo, in barba alle scelte elettorali dei cittadini, approfittando, molto spesso, di uno shock causato da un evento contingente, da incapacità politica o cause esterne.
Ecco alcuni esempi: nel 1973 in Cile durante il regime di Pinochet, negli anni „90 in Russia e Polonia conseguentemente all’instabilità economica derivante dal crollo del muro di Berlino, in Bolivia soggiogata da un’inflazione inarrestabile, in Argentina e Inghilterra durante la guerra delle Falkland, negli USA in concomitanza della guerra in Iraq, e poi dell’uragano Katrina che ha causato la distruzione di New Orleans. Che cosa prevede la teoria economica neoliberista di Milton Friedman che ha esercitato una forte influenza sulle scelte politico-economiche negli ultimi 45 anni? Privatizzazioni, tagli alla spesa pubblica, liberalizzazioni in basso dei salari e aumenti speculativi delle tariffe, ad es. “liberalizzazione” delle bollette di luce e gas. Famosa la tesi in cui si rigetta la responsabilità sociale dell’impresa: poiché i manager sono dipendenti esclusivamente degli azionisti, devono agire nell’esclusivo interesse di questi ultimi. Non si deve pensare a nulla quando conviene licenziare le persone e buttarle sul lastrico. Utilizzare il denaro degli azionisti per risolvere problemi sociali significa fare beneficenza con i soldi di altri, senza averne il permesso e tassarli senza dare un corrispondente servizio, violando il principio del no taxation without representation.
Da questa teoria molti sono stati ispirati, in tutto il mondo, per delocalizzare oltre le produzioni di beni, anche i capitali portandoli nei paradisi fiscali, dove non si pagano tasse. Cosi in tutte le nazioni democratiche i costi dello Stato sociale sono ricaduti sulle classi medie che inesorabilmente si sono impoverite. Le forze politiche liberiste hanno quindi reclamato il taglio delle spese sociali, della sanità e dell’assistenza. Il neoliberismo sostiene che il mercato dovrebbe essere libero dagli interventi distorsivi dei sindacati, che impediscono il realizzarsi di un sistema naturale di vincenti e perdenti.
In realtà, i datori di lavoro sono liberi di imporre lo sfruttamento dei loro lavoratori: i salari sono sempre guidati al ribasso, il lavoro diviene precario; nessuna regolamentazione, il che si traduce nella libertà di inquinare fiumi, costruire strumenti finanziari che causeranno la prossima crisi ed esporre i cittadini a prassi pericolose. Infine dovrebbero essere liberi dalla tassazione, vale a dire essere liberi dalla redistribuzione della ricchezza che potrebbe portare i poveri al di fuori della povertà e fornire a tutti maggiori opportunità di mobilità sociale. Le libertà che tanto stanno a cuore ai sostenitori dell’ ideologia neoliberista sono insomma libertà molto particolari, che liberano alcuni, pochissimi in realtà, per rendere meno liberi tutti gli altri: miliardi di persone. Oggi sappiamo perfettamente qual è stato l’effetto dell’applicazione di queste teorie: crescita della disoccupazione, generale impoverimento della popolazione ed ovviamente un aumento esponenziale degli utili degli azionisti, oltre ai compensi dei manager. La carica distruttiva del neoliberismo nei comportamenti politici è stata terribile.
Negli ultimi anni, dopo il crollo delle ideologie, sono stati fatti in Europa molti tentativi di costruzione di nuovi soggetti collettivi, o di aggregazione di partiti di sinistra; come scrivono Ginsborg e Labate in Passioni e politica, (Einaudi, 2016, p. 9): “Questi tentativi di costruzione di soggetti collettivi sono stati vanificati da un vizio passionale, un eccesso d’egoismo o d’arroganza? Molto più che per motivi ideali, il loro insuccesso è spesso causato da una competizione tra primedonne, da un’identificazione con il leader che finisce per diventare una specie di servitù volontaria, da una lotta il cui fine è l’accrescimento della propria vanità e del proprio potere, da una diffidenza astuta esercitata anche nei confronti dei propri compagni, che spesso finisce per trasformare la necessaria condivisione in inimicizia”.
La stessa cultura della “corruzione” è lo sbocco naturale del neoliberismo: “La politica sembra essere diventata un luogo dove s’incontrano persone che fanno della propria autorealizzazione il fine ultimo del proprio impegno, sacrificando ogni costruzione paziente di passioni comuni, facendo coincidere il bene comune con le loro stesse carriere, giustificando così ogni tipo di comportamento, compreso il seguire servilmente il leader: le scimmie machiavelliche tutte intorno al servizio del loro Principe” (p. 85). Si “considera la sfera pubblica terra di saccheggio, non fonte di vantaggi collettivi. Chi si pone al servizio dei patroni … per forza deve comportarsi come una scimmia machiavellica” (p. 117). Quante volte abbiamo sentito usare, da parte di qualche politico scoperto a delinquere, la giustificazione “Se lo fanno tutti perché non posso farlo io?”.
La cultura dell’assenza di regole favorita dal neoliberismo ha portato la mancanza di senso etico a estendersi dalla società alla politica e viceversa. Di conseguenza le disuguaglianze di reddito e ricchezza sono aumentate in tutti i paesi avanzati, dimostrazione che le condizioni economiche odierne stanno diventando inaccettabili specialmente in nazioni che si autodefiniscono democratiche. Tutto questo è dovuto alla passiva accettazione della vulgata economica neoliberista degli ultimi decenni la quale si è chiaramente ispirata a falsi miti. Oggi entra in profonda crisi l’intera visione del mondo nata dall’affermazione della Thatcher alla fine degli anni Settanta del secolo scorso secondo cui la “società non esiste”.
Dobbiamo finalmente considerare che ci troviamo “in un tempo segnato da molteplici crisi” e che “riemerge oggi -soprattutto dal basso – il desiderio di scelte e politiche [statali] radicali che parlino di solidarietà, di responsabilità collettiva, di uguaglianza. C’è ancora e sempre ci sarà qualcosa di più grande degli individui [egoisti]” (G. Serughetti, La società esiste, Laterza, 2023, p. IV di copertina). Secondo la saggista americana Rebecca Solnit “I miliardari invece sono una minaccia per tutti: la loro mole politica distorce la nostra vita pubblica. In misura sproporzionata, sono più vecchi, bianchi e uomini, e funzionano come poteri non eletti, una sorta di aristocrazia globale autonoma che tenta di governare su tutti. Secondo alcuni le aziende tecnologiche che hanno generato tanti miliardari moderni agiscono con metodi più simili al feudalesimo che al capitalismo, e di certo molti miliardari operano come i signori del mondo, mentre si battono per difendere la disuguaglianza economica che ha reso loro così ricchi e tanti altri così poveri. Usano il loro potere in modi arbitrari, irresponsabili e spesso devastanti per l? ambiente” (R. Solnit, Perché i miliardari fanno male al pianeta, in “Internazionale”, del 01/12/2023, n. 1540, p. 42).
Il modo per evitare il peggio esiste, ma si è perso talmente tanto tempo nello stallo politico dell’accettare l’inaccettabile che, se oggi volessimo davvero salvarci dal peggio, dovremmo affrontare tagli così significativi alle emissioni da mettere in discussione la logica fondamentale della nostra economia: la crescita del PIL come priorità assoluta. Finora non abbiamo intrapreso le azioni necessarie a ridurre le emissioni perché questo sarebbe sostanzialmente in conflitto con il capitalismo deregolamentato, ossia con l’ideologia imperante in questi decenni. Siamo bloccati perché le azioni che garantirebbero ottime chance per evitare la catastrofe, e sicuramente di cui beneficerebbe la stragrande maggioranza delle persone, rappresentano una minaccia estrema per quell’élite che tiene le redini della nostra economia, del nostro sistema politico e dei nostri media. Dobbiamo renderci conto di tutto questo e cominciare a cambiare lo stato delle cose.