Sei un dipendente pubblico e desideri integrare l’esiguo buono pasto fermo nella Pubblica amministrazione a 7 euro da anni in virtù della Legge n. 135/2012? È possibile attraverso il welfare aziendale ma a costo di subire la decurtazione della produttività rappresentando una risorsa economica che concorre alla spesa di personale
Da 12 anni i buoni pasto sono fermi, i sindacati firmatari di contratto se ne infischiano pur sapendo che il costo della vita è aumentato e oggi un ticket non dovrebbe essere inferiore ad almeno 10 euro.
I datori di lavoro risparmiano, prima di tutto perché non organizzano un servizio mensa e per il fatto il ticket elettronico risulta conveniente beneficiando di una tassazione agevolata.
Riguardo i buoni pasto ricordiamo che non esiste alcuna legge che li assegni anche agli smart worker, la Legge n. 81/2017 prevede che lavoratore in smart working deve avere “un trattamento economico e normativo non inferiore a quello del lavoratore che svolge la medesima mansione in azienda, eppure ad oggi chi svolge la prestazione lavorativa in modalità agile nella Pa non pare possa beneficiare del buono pasto in caso di rientri pomeridiani.
Molto si è detto, e scritto sul welfare aziendale, salvo non ammettere che rappresenti oggettivamente una sostanziale rinuncia al welfare universale e resti a carico della forza lavoro o in molti casi rappresenti perfino una merce di scambio ossia servizi al posto di incrementi economici.
Un sindacato che sia tale dovrebbe sempre dubitare delle formule astratte come un moderno welfare integrativo, quale strumento di attrattività del lavoro alle dipendenze di una pubblica amministrazione comparabile al settore privato.
Il potenziamento del welfare aziendale è parte rilevante dell’atto di indirizzo quadro per i rinnovi contrattuali del triennio 2022-2024 per il personale delle pubbliche amministrazioni, noi siamo tra i pochi ad asserire che solo il reale incremento del potere di acquisto salariale (leggi stipendi altri) rappresenti un obiettivo di miglioramento oggettivo delle condizioni retributive nella Pa.
Molti studi di settore, specie nel mondo privato, mettono in relazione il welfare integrativo al benessere organizzativo funzionale ad accrescere la produttività della forza lavoro, documenti ufficiali parlano di contributo essenziale all’aumento della loro performance e alla realizzazione di un clima lavorativo positivo.
Non si parla di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro ma bensì di benessere organizzativo, una differenza non linguistica ma di contenuto.
Già con il contratto nazionale 020168 si parlava di welfare aziendale, era del resto scontato si volesse depotenziare il welfare universale, le pensioni e la sanità pubblica a favore di quelle integrative che poi beneficiano di fin troppo generosi sgravi fiscali.
Il Ministro Paolo Zangrillo, nell’atto di indirizzo quadro per i rinnovi contrattuali del triennio 2022-2024 per il personale delle pubbliche amministrazioni, ha riconosciuto nell’istituto del welfare integrativo una funzione dirimente di rafforzamento della Pa e questo dovrebbe indurre il sindacato a qualche riflessione sul ruolo del welfare aziendale stesso.
Ma i sindacati da tempo, e non solo nella Pa, sono ormai subalterni alla logica dell’accrescimento della produttività autentico faro guida della contrattazione di primo e secondo livello, ergo non desti meraviglia che vogliano introdurre nella contrattazione nazionale il potenziamento dei vari istituti del welfare aziendale per soddisfare le diverse esigenze del personale che poi trasformano diritti universali e collettivi in individuali dentro un welfare che risponde ad esigenze di mercato e di mercificazione dei bisogni reali.
Come accaduto nel privato, il welfare aziendale sottrae risorse economiche destinate ai salari barattando aumenti reali del potere di acquisto con servizi destinati alla genitorialità, a prestazioni sanitarie, istruzioni e mobilità sostenibile. Non si capisce del resto perché rinviare alla contrattazione di secondo livello interventi che rappresentano un oggettivo miglioramento erga omnes e potrebbero quindi essere parte attiva del CCNL.