Firma per la sanità pubblica e per la pace: referendum

Come noto, lo scorso Marzo 2023 è stato indetto un referendum abrogativo in materia di contrasto alla guerra e sostegno alla sanità pubblica, distinto in due quesiti.

Dopo averli riportati, in questo breve scritto si cercherà di spiegarli, rendendoli fruibili a tutti.

Giova, però, preliminarmente chiarire cosa è un referendum.

Cos’è il referendum?

Previsto dall’art. 75 della Costituzione, il referendum è uno strumento di consultazione popolare diretta, per cui i cittadini aventi diritto di voto possono far sentire la loro voce, decidendo di cancellare (abrogare), totalmente o solo parzialmente, una legge o un atto avente valore di legge, come il decreto legge o il decreto legislativo.

Perché l’operazione possa ammettersi è necessario che a richiederlo siano cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.

La sottoscrizione può essere compiuta sia a mano, nelle sedi o presso i luoghi destinati alla raccolta, sia on-line (scrivi a firmalapace@gmail.com per sapere dove firmare nella tua città o paese o per avere indicazioni per la firma digitale e affrettati: esiste un tempo massimo di tre mesi entro cui le firme vanno raccolte dal momento della vidimazione delle liste di raccolta).

Una volta raggiunte le firme necessarie, cioè il numero minimo di 500.000, la Corte costituzionale valuta l’ammissibilità delle domande proposte dai cittadini.

In particolare, verifica che non sia proposto referendum sulle materie per cui la Costituzione espressamente esclude l’interpello popolare, come la materia tributaria, le leggi in materia di amnistia o indulto, nonché l’autorizzazione a ratificare trattati internazionali.

Se la valutazione di ammissibilità della Corte costituzionale va a buon fine, allora viene indetto in senso proprio il referendum e le Istituzioni sono tenute a organizzare uno -meglio due giorni- di consultazioni nazionali, chiamando l’intera popolazione ad esprimersi sull’oggetto proposto.

Solo se partecipa alla consultazione la maggioranza degli aventi diritto, cioè il 50% + 1 di tutti gli iscritti nelle liste elettorali italiane, allora la proposta soggetta a referendum è approvata nel caso in cui la maggioranza di loro abbia votato a sostegno della cancellazione.

Ci sono, quindi, tre livelli da considerare per il buon esito del referendum:

1. un primo livello riguarda la fase della raccolta firme; è necessario raggiungere il numero minimo di sottoscrizioni, pari a 500.000;

2. il secondo livello è invece successivo all’intervento della Corte costituzionale e riguarda il cosiddetto quorum costitutivo, per cui deve recarsi a votare il 50%+1 degli aventi diritto di voto;

3. al terzo livello, invece, sta il cosiddetto quorum deliberativo. Perché la legge sia abrogata, occorre che la maggioranza di coloro che si sono recati alle urne, cioè almeno il 50%+1 degli aventi diritto, abbia votato sì.

Se il quorum costitutivo non è raggiunto o se, raggiunto positivamente il quorum costitutivo, la maggioranza dei votanti si esprime a favore del no, allora tutto rimane invariato e la legge contro cui si è intrapresa l’azione popolare rimane vigente nell’ordinamento.

I quesiti

“Vuoi tu abrogare l’Art. 1 (Programmazione sanitaria nazionale e definizione dei livelli uniformi di assistenza), comma 13, D.lgs 502/1992 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421. (GU n.305 del 30-12-1992 – Suppl. Ordinario n. 137)), limitatamente alle parole “e privati e delle strutture private accreditate dal Servizio sanitario nazionale”?”

Si tratta della previsione per cui “Il Piano sanitario regionale rappresenta il piano strategico degli interventi per gli obiettivi di salute e il funzionamento dei servizi per soddisfare le esigenze specifiche della popolazione regionale anche in riferimento agli obiettivi del Piano sanitario nazionale. Le regioni, entro centocinquanta giorni dalla data di entrata in vigore del Piano sanitario nazionale, adottano o adeguano i Piani sanitari regionali, prevedendo forme di partecipazione delle autonomie locali, ai sensi dell’articolo 2, comma 2-bis, nonché delle formazioni sociali private non aventi scopo di lucro impegnate nel campo dell’assistenza sociale e sanitaria, delle organizzazioni sindacali degli operatori sanitari pubblici e privati e delle strutture private accreditate dal Servizio sanitario nazionale”.

Attraverso la cancellazione dell’ultima parte della legge, per cui le regioni, cui compete la gestione del sistema sanitario a livello territoriale, possono prevedere la partecipazione nell’amministrazione della sanità anche di soggetti privati, si cerca di impedire la tendenza alla privatizzazione dei servizi ed il conflitto di interessi nell’ allocazione degli ingenti fondi pubblici.

E’ noto, infatti, che sempre più spesso l’apparato pubblico delle varie regioni d’Italia, specialmente di quelle svantaggiate o del sud, recede, dismettendo la propria attività per scarsità di risorse o indisponibilità di strutture e operatori, a vantaggio di strutture private convenzionate.

La conseguenza è sotto gli occhi di tutti: l’accesso alle cure, che dovrebbe essere gratuito e garantito in modo efficiente a tutti i cittadini, a prescindere dal loro reddito, è divenuto difficoltoso per coloro che non riescono a sostenere i costi per cure private o semi-private (in convenzione).

Le liste di attesa infinite della sanità pubblica spingono spesso e sempre di più a ricercare soluzioni a pagamento, ma non è l’arrendevolezza allo stato delle cose che può garantire la nostra salute.

Come cittadini, abbiamo il diritto di pretendere che le articolazioni statali e la politica, soprattutto, si adoperi a garantire i nostri diritti costituzionali. Abbiamo il diritto di vedere assegnati i fondi alla medicina di prossimità e alle terapie intensive anche se questi settori rendono poco ai privati.

L’ Italia spende per la sanità il 7% del suo PIL, una cifra enorme. Essa deve andate dove serve di più non dove si fanno più profitti.

È inaccettabile, specialmente oggi, dopo la pandemia che ci ha trovati sguarniti a livello strutturale (non avevamo sufficienti terapie intensive, per dirne una), che si continui a destinare quattrini pubblici ad altri fini, prima e al posto della salute.

Tra gli scopi recenti con cui si sottraggono risorse alla sanità pubblica, contribuendo così ad aggravarne lo stato di penuria, concorre un motivo di morte: la guerra.

I nostri rappresentanti hanno deciso di destinare ingenti somme di denaro alla produzione di armi da inviare all’Ucraina. Noi riteniamo che il popolo in maggioranza non sia d’accordo e con il referendum intendiamo provarlo.

Si badi: la devoluzione di soldi pubblici alle armi non è limitata alla vicenda tra russi e ucraini, ma si mantiene viva ordinariamente, sempre, solo massimizzandosi in questi anni di guerra corrente.

È atroce che si cerchi di giustificare in qualsiasi modo un conflitto armato.

Immorale e disumano.

Anziché ricercare soluzioni diplomatiche, l’intero occidente si è seduto compatto a fare affari: date le armi, vendete il fumo della loro necessità per la pace se nel frattempo noi, che siamo quei pochi che sempre guadagnano e mai perdono, continueremo a guadagnare. Sempre di più, sempre di più.

Del fatto che il costo del loro profitto, dove per loro si intendono i grandi affaristi del mondo, i proprietari delle industrie che operano intorno alla produzione di armi (tralasciando qui le considerazioni d’ordine politico, sulla egemonia di potere tra Stati), sia realizzato sulla pelle di popolazioni innocenti, si fa carico il secondo quesito proposto:

“Vuoi tu che sia abrogato l’Art. 1 del DL 2 dicembre 2022 n. 185 ((Disposizioni urgenti per la proroga dell’autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle Autorità governative dell’Ucraina), convertito in legge n. 8 del 27 gennaio 2023: “È prorogata, fino al 31 dicembre 2023, previo atto di indirizzo delle Camere, l’autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell’Ucraina, di cui all’articolo 2-bis del decreto-legge 25 febbraio 2022, n. 14, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 aprile2022, n. 28, nei termini e con le modalità ivi stabilite?”.

Come evidente, poco ormai potendo incidere su quanto è già stato inviato verso il fronte, si propone di impedire in toto la possibilità che venga rinnovato l’invio di armi, mezzi, equipaggiamenti e materiali militari ai Paesi coinvolti nel conflitto in corso.

Se, infatti, l’esito del referendum dovesse essere positivo e la legge cancellata, per i partiti non sarebbe più possibile introdurre altre leggi che, pur nuove e quindi diverse nella forma, riproducano la stessa sostanza di autorizzazione al finanziamento della guerra. E ciò stando alla giurisprudenza costituzionale sin qui (almeno!) registrata.

Chiariamo: non è questione di parteggiare per l’uno o per l’altro schieramento. Chi parteggia, di qui o di là, in una guerra non è un uomo buono.

Nemmeno, come si diceva, rilevano le scelte politiche dei Paesi coinvolti. Con questo referendum si ha a cuore solo la vita, che certo non può essere sacrificata in ragione di decisioni politiche o economiche; nemmeno se praticate da rappresentanti eletti con tutti i crismi della democrazia. Sull’ovvietà di questo assunto non c’è da spendersi oltre, perché è autoevidente che nulla, mai, giustifica la guerra. Nemmeno se altri l’ha principiata, nemmeno se altri ha provocato.

E poi, parliamoci francamente: offende la nostra intelligenza personale continuare a sostenere nel 2023, a duemila anni dalla storia di Roma e del suo Impero, che le guerre avvantaggiano i popoli. Si sa, è arcinoto, che a guadagnarci sono sempre quelli che non ci muoiono mai.

Almeno fino a quando i popoli non se ne rammentano..

Il significato del referendum contro la guerra e a favore della sanità pubblica

La logica che riunisce le due istanze referendarie è evidente: visto e considerato che spesso si è ricorsi all’intervento dei privati nella gestione della sanità, motivando tale scelta politica in ragione dell’assenza di soldi pubblici da destinare al sistema sanitario, è chiaro che impedendo di devolvere denaro a scopi militari, si ritaglia una somma spendibile per la salute di tutti i cittadini, in maniera da cancellare ogni alibi volto a sacrificare salute e vite umane in nome del motivo reale per cui si fomenta la guerra: il profitto che da ciò ricavano pochi privati.

È chiaro, però, che non si tratta che di un esempio per il reimpiego di questi soldi salvati e che va respinta ogni lettura opportunistica e falsata, che voglia porre un confronto tra noi e loro; confronto che è disgustoso tanto quanto la guerra. Si tratta, piuttosto, di ammonire la politica di partito, affinché rammenti che essa non esiste al di fuori di noi, cittadini e, ben prima, esseri umani.

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