‘CCA NISCIUNO E’ FESSO !

Il risultato della sperimentazione di questo nuovo sistema per determinare il fabbisogno di personale del SSN, iniziata nel 2022 con 9 regioni pilota e che nel 2023 ha viste coinvolte tutte le regioni, dovrebbe essere reso noto a breve.

L’obiettivo è quello di eliminare il tetto di spesa sul personale entro il 2024. E se da un lato l’abolizione del tetto di spesa sul personale è indispensabile e la definizione di standard che vadano a delineare in maniera chiara.

I fabbisogni di del personale è chiaramente una necessità, è evidente che una simile metodologia di calcolo desti più di una perplessità e si presti a più obiezioni. Perplessità e obiezioni che, al di la della fastidiosa, ma superabile, sensazione che si prova sentendo che il personale venga deciso da un algoritmo, sono invece oltremodo concrete se andiamo a cercare di capire cosa diamo “da mangiare” all’algoritmo e se i dati che inseriamo siano davvero rispondenti a produrre salute e funzionali al rilancio della sanità pubblica.

Una fra le tante definizioni descrive la statistica come lo strumento usato per torturare i dati fino a che questi non ci dicono quello che vogliamo. Ebbene questa definizione, traslata sull’algoritmo di calcolo del fabbisogno di personale, sembra quanto mai azzeccata dato che uno dei parametri di calcolo – i dati con cui nutriamo l’algoritmo appunto – è il famigerato DM 70 del 2015, tristemente noto come Decreto Balduzzi, che ha provocato la soppressione di circa 50.000 posti letto, la chiusura di 150 ospedali e il calo di circa due milioni e mezzo di ricoveri.

Insomma i dati che vanno a nutrire l’algoritmo possono essere governati per restituire un quadro e un fabbisogno di personale che nulla rappresentano delle esigenze di salute di un territorio ma, casomai, fotografano le scelte di spesa che si è deciso di investire per “simulare salute” conservando, naturalmente, come priorità l’equilibrio di bilancio e la compatibilità economica.

A maggior ragione, se l’algoritmo non lo nutriamo con i dati della spesa out of pocket – cioè la spesa sostenuta di tasca propria dal cittadino per accedere a prestazioni che la sanità pubblica non è in grado di erogare a causa delle liste di attesa – che ha raggiunto nel 2022, ultimo dato disponibile, la cifra record di 40,26 miliardi, cioè un quarto della spesa sanitaria complessiva.

Se a questo aggiungiamo che nel 2025 il rapporto fra spesa sanitaria e PIL sarà del 6,2%, ben al di sotto quindi del livello pre pandemia, e che l’ aumento medio dello 0,6% della fondo sanitario nazionale nel triennio 2024-2026 non riuscirà nemmeno a coprire l’aumento dei prezzi dovuto all’inflazione, il quadro è completo.

Risulta di conseguenza chiaro che in mancanza di determinazione e volontà politica e di un cambio di visione – la presenza dei tecnici del MEF nella sperimentazione è emblematica e il Governo ha tenuto a sottolineare che l’eliminazione del tetto di spesa è un obiettivo da raggiungere compatibilmente con gli obiettivi di finanza pubblica – un cambio di rotta per evitare il definitivo declino della sanità pubblica, non sarà possibile.

Anzi le certezze che darà l’algoritmo, nutrito però con dati drogati, costituiranno l’alibi per chi, deputato a prendere decisioni e a governarle, non si prenderà più neppure la responsabilità di farlo perché ha scelto l’algoritmo ovvero, pilatescamente, il delitto perfetto del Servizio Sanitario ovviamente.

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