In senso negativo, il proverbio, condanna chi dimentica troppo facilmente le persone morte.
Altra ipocrisia è compiangere i morti sul lavoro quando tutti sanno che in Italia le tutele sono ridotte al nulla.
Basta constatare come si comportano le istituzioni che preferiscono spendere in armamenti piuttosto che spendere per aumentare gli ispettori del lavoro ed altro congenere.
E’ ripugnante vedere manifestazioni di pietà ipocrita che si dimostra uno scherno proprio per gli stessi morti.
La tragedia di Firenze purtroppo non è isolata. Nel 2023 su 1.041 morti sul lavoro 204 erano immigrati stranieri, il 19,6% del totale. L’incidenza è stata di 65,3 morti ogni milione di occupati, contro 31,1 per gli italiani. Più del doppio dunque, e mancano informazioni su quante vittime di cittadinanza italiana fossero di origine straniera.
Il fatto è che i lavoratori immigrati si concentrano proprio nei settori nei quali il rischio d’incidenti è più elevato: le costruzioni (150 vittime nel 2023), trasporti e magazzinaggio (109), attività manifatturiere (101). In Italia sono praticamente assenti dal lavoro pubblico e raramente accedono a lavori da colletti bianchi, meno esposti a rischi infortunistici.
In sostanza, a loro toccano le occupazioni contraddistinte dalle 5 P: pesanti, precarie, pericolose, poco pagate, penalizzate socialmente (ossia considerate di serie B o C da gran parte dell’opinione pubblica).
Ogni appello è vano poichè il menefreghismo, a volte, anche da parte di milioni di lavoratori, impera sovrano come l’invidia e l’egoismo!
Non parliamo poi dei sindacati e delle istituzioni!
Non c’è nessuna speranza di fermare il continuo aumento di questi morti fino a quando non si cambia radicalmente lo stato.
Si muore più di lavoro che di droga.