La giornata di ieri è stata estremamente importante perché ha segnato una svolta decisiva nel corso della guerra in atto. Su iniziativa di Biden hanno dichiarato di essere contro la Russia e a favore dell’Ucraina tutti gli Stati europei, compresa l’Inghilterra e naturalmente l’Italia.
Una vera e propria escalation che, logicamente, è un terribile passo avanti verso lo scontro atomico totale. L’errore di fondo va ricercato nel pensiero neoliberista che, provenendo dall’America, e in particolare dalla scuola economica di Chicago, nella quale è stato decisivo l’apporto di Milton Friedman, si è esteso in tutta l’Europa.
Si tratta di una nuova e falsa interpretazione dell’economia che, sulla base reale della globalizzazione dei mercati, è stata vista, non più come economia dello scambio, ma come economia della concorrenza. Così interpreta anche dalle maggiori istituzioni finanziarie internazionali come il Fondo monetario internazionale, la Banca centrale europea, la BCE, ecc..
Concorrenza, in ultima analisi, induce il più delle volte alla sopraffazione e cioè alla prevalenza del singolo sull’altro, ignorando del tutto le conseguenze economiche e sociali di questo principio. Si tratta di una falsa teoria a favore delle multinazionali e della finanza che ha sopraffatto le economie più deboli, come quelle dell’Italia e della Grecia, facendo risentire i suoi effetti negativi anche sulla Russia, la quale ha trovato nell’aggressione contro l’Ucraina lo sbocco naturale delle sue difficoltà economiche.
A questo punto il presupposto di fatto di questo erroneo principio neoliberista, e cioè il mercato globale liberalizzato, è venuto meno e con esso, come sottolinea Tremonti (il quale ha avuto il coraggio di cambiare in pieno il suo punto di vista sull’argomento), in un’intervista pubblicata oggi dal Corriere della Sera, si devono fare i conti con la fine della globalizzazione, auspicando anche una forma d’intervento dello Stato nell’economia.
Quel principio invece ha spinto i governi italiani, succedutisi dall’assassinio di Aldo Moro, a svendere completamente il demanio costituzionale, cioè a togliere al Popolo italiano quello strumento idoneo a difendersi dagli assalti speculativi del mercato generale portandoci a una impressionante miseria.
La soluzione sta nell’osservanza della nostra Costituzione repubblicana e democratica, la quale pone come principio fondamentale dell’economia, non la concorrenza, ma la solidarietà politica economica e sociale (art. 2 Cost.), in modo da assicurare una sostanziale eguaglianza sociale ed economica tra tutti i cittadini (art. 3 Cost.).
I nostri governi invece, sbagliando, ma certo in massima buona fede, hanno distrutto il nostro demanio costituzionale dando in pasto ai privati, non solo i beni demaniali citati dal Codice civile, ma anche la gestione dei servizi pubblici essenziali, delle fonti di energia e delle attività svolte in situazioni di monopolio, i quali, ai sensi dell’articolo 43 della Costituzione, costituiscono le fonti di produzione di ricchezza di preminente interesse generale, ingiustamente tolte a tutti i cittadini per farne elegante dono a singoli soggetti che hanno avuto la concessione, talvolta senza termine, del servizio radiotelevisivo, del servizio autostradale, dei servizi della Cassa depositi e prestiti, del servizio postale, del servizio ferroviario, del servizio del trasporto aereo, del servizio di fornitura dell’energia e del gas e così via dicendo, in piena contraddizione con la Costituzione, dimenticando persino che ogni legge ha il limite della tutela dell’interesse generale.
PAOLO MADDALENA
Giurista e magistrato, è vicepresidente emerito della Corte costituzionale e autore di importanti studi e sentenze sulla tutela dell’ambiente