Un po’ di ruvidità del popolo con molta fede, che poca fede dei potenti con molta gentilezza

Era l’ultimo giorno di carnovale, che quest’anno, essendosi dopo dieci anni permesso le maschere, fu più splendido, giulivo, bizzarro e chiassoso che mai. Le maschere aveano le più ridicole e pazze forme, ed eran numerosissime. Già la famosa luminaria dei moccoletti sul Corso avea reso le maschere più baldanzose, più ghiribizzose e pazze. Suonò l’ora di notte; si spensero i moccoli, e a torrenti per le vie traverse del Corso s’accalcavano per ritornare alle case loro e ai loro ritrovi. Per una di quelle vie più larghe e più popolose, nel maggior impeto del tripudio, ecco passare il Santissimo Viatico, il quale tornava da un infermo della parrocchia di sant’Agostino. A quella vista la folla immensa si strappa la maschera, si gitta in adorazione a ginocchi, risponde alla recitazione de’ salmi, nè si leva indi, sinebè l’augustissimo Sacramento non abbia vòlto il canto e sia fuori della vista. Molti di quelli che diconsi in bauta (la quale è un mezzo mascherino, e la persona veste una mantiglia nera), toltasi la larva dal viso, seguitarono composti e divoti la processione, ed entrarono in sant’Agostino a pregar per l’ infermo e a ricevere la benedizione di Cristo in Sacramento.
Eh, amici! Oh ditemi, per amor vostro, è ella fede cotesta e pietà di buona ragione? Si stampò questo avvenimento come cosa singolarissima sopra i giornali, e il mondo ne rimase stupito. Ma per conoscere appieno la tempera della Fede romana, bisognerebbe usare famigliarmele nell’interno delle pareti domestiche; vedere le pratiche di pietà così naturale in ciascuno; assister gli infermi; confortar li moribondi; udire con che fiducia le madri consegnano alla divina Provvidenza i loro figliuoli che rimangono derelitti. Anche giorni sono io assisteva una giovane sposa inferma al Ponte a quattro Capi: la malattia incalzava, le forze venian meno, tre figliuoletti le piangevano intorno al letto; essa, bellissima e di venticinqu’anni, se li guardava e colloquiava con essi, animandoli a sperare ogni aiuto dalla Madonna; l’accennava là alla parete, innanzi a cui ardeva un lumicino; e le si volgea cogli occhi e le parlava come figliuola a madre, dicendo: Eh, Mamma, non me li abbandonerete, n’è vero? Son vostri, ve gli ho sempre offerti, ora ve li dono; custoditeli, nutriteli Voi.
Io vi tornai verso la sera; e trovo presso l’inferma una giovane che la pettinava accuratamente e le ungeva i capelli, che lunghi e biondi e copiosissimi erano — Ti par egli, Angelina, diss’io, d’attendere a queste vanità ora che sei vicina a morire? — Ah, padre mio, vi pare! Dio me ne guardi, rispose: quest’amica mi ravvia i capelli perché ora, prima ch’io muoia, me li taglia, ch’io gli ho già venduti a un parrucchiere per uno scudo, e così i miei figliuoletti avranno un po’ di pane per qualche giorno: dopo ci penserà la Madonna — E così detto, l’amica le tagliò la treccia, e da me confortata, prima della mezza notte rese la sua bell’anima a Dio.
O don Giulio, va, e di’ a’ nostri censori: che assai più vale in un popolo cristiano un po’ di ruvidità con molta fede, che poca fede con molta gentilezza. Ho detto.

FINE

Bresciani Borsa Antonio

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